Traslochiamo il nostro Ombrellone a Roma per piantarlo all’Acqua Acetosa, in casa Lazio Rugby 1927, e ospitiamo il suo coach, Daniele Montella. Ex tallonatore biancoceleste, classe 1975, alla guida delle Aquile dal 2016, con la sua presenza mantiene la tradizione del club, che vuole al timone del primo XV un suo ex giocatore.
Un concentrato di simpatia (ho riso dall’inizio alla fine dell’intervista), un tripudio di energia, passione e tanta competenza. Purtroppo per lui lo raggiungo il giorno dopo la presentazione di Franck Ribéry a Firenze e, chiamandosi Montella, in casa mia parte subito il misunderstanding con mia mamma che mi chiede “Cosa c’entra Montella col rugby?”
Infatti Vincenzo Montella, non c’entra nulla, ma Daniele Montella c’entra parecchio e qui sono stata subissata di domande, insomma in pratica l’intervista l’ho fatta principalmente per lei.

Buongiorno coach, molto piacere, grazie per la disponibilità e buongiorno anche da parte di mia madre.
Ciao, piacere – e ride – non ti preoccupare spesso capita che mi chiamino Vincenzo. E in questo caso il malinteso è più che giustificato.
Troppo gentile, normalmente in questa rubrica si parla di quelli che sono i programmi delle vacanze, ma essendo già passate le chiedo, cosa ha fatto quest’estate?
Mi sono sposato – congratulazioni a lei e Desiré, la moglie – e siamo andati in America ed in Polinesia Francese.
Che meraviglia. Quindi questa volta è riuscito a staccare? Altrimenti riesce a staccare?
No, io non stacco mai, tranne quest’anno quando ero in Polinesia – precisiamo – perché quando eravamo in America la mattina avevo sempre la telefonata di programmazione, finita quella svegliavo mia moglie e andavamo in giro ma senza telefono.
Anche perché se lo avesse portato con sé ne avrebbe buscate – e qui abbiamo riso entrambi.
Giusto così, almeno si è goduto questa esperienza unica. Cosa si è portato con sé da questa vacanza per affrontare il campionato?
Eh… silenzio e tanto riposo. Oltre al fatto che quando ti confronti con culture e realtà così differenti dalla nostra e capisci quanto siamo fortunati e quanto si possa migliorare.
Lei che è stato anche giocatore mi sa dire qual è la prima differenza che le viene in mente tra essere allenatore e giocatore?

Da giocatore ti diverti, ed esegui gli ordini sostanzialmente, almeno, quelli della mia generazione eseguivano gli ordini dell’allenatore. Perché oggi i ragazzi sono un po’ più “ribelli”, passami il termine. Poi finivi allenamenti o partita, facevi la doccia, una birra e finiva tutto lì. Da allenatore non stacchi mai, sei sempre concentrato lì, prima degli allenamenti, durante gli allenamenti, prima e dopo la partita. La birra no, quella è rimasta, andiamo sempre a bere una birra insieme, anche se ho proibito di parlare di rugby di fronte alla birra. Perché la birra è una cosa seria.
Quest’anno poi lo staff si è rinnovato.
Sì, per questo voglio uno spazio nostro. Mi piace conoscere le persone con cui lavoro, parlare con loro e ascoltare la loro storia.
Mi dica, c’è mai stato qualche giocatore che le ha fatto prudere le mani?
Mica solo uno – e ridiamo – anzi, se fosse uno a stagione sarei anche fortunato; o uno per squadra. Io nasco come allenatore di serie C, poi B eccetera fino ad arrivare in Eccellenza, oggi Top12, ti immagini?
Sì, effettivamente ce ne devono essere stati e ce ne sono abbastanza.
Poi sei da solo contro quaranta, e sono un gruppo. Una fatica bestia. Soprattutto è difficile combattere i pregiudizi tuoi personali. Far capire ai ragazzi che il fatto di essere tranquillo non significa essere un… pausa – bischero suggerisco io – ecco sì, quello. E ride.
Per scaricare la tensione che fa?
Mi chiudo in una stanza con i miei collaboratori e urlo. Poi esco tranquillo e sorridente.
Insomma un po’ come la Linea di Osvaldo Cavandoli. Qui cari millenials devo dirvi che vi siete persi un capolavoro di disegno animato. E vi invito a guardarvelo su YouTube.
Dopo tutti questi anni di rugby, cosa la emoziona ancora?
Io sono un allenatore vecchio stampo, mi emoziono molto per il lato umano dei ragazzi e dei miei collaboratori. Quando capita loro qualcosa e me lo raccontano o lo viviamo insieme, è sempre bello.
Dato il periodo è quasi obbligatorio parlare di Nazionale. Sono appena iniziati gli Europei di pallavolo, lei segue anche altri sport?
Sì, noi siamo la generazione di Mila e Shiro (vedi suggerimento per la Linea), certo che seguo anche altri sport – qui c’è stato un momento amarcord nostro, che vi evito, ma nel quale abbiamo tirato fuori delle perle che non potete immaginare – poi io sono anche tecnico federale, nei corsi di aggiornamento utilizziamo spesso anche le esperienze di atleti o allenatori di altri sport.
Io potrei restare a parlare con lei fino a stasera ma so che non si può fare, così le faccio la domanda di chiusura.
La so, ho studiato, il più pirata vero?
Esattamente.
Dunque ti dico la verità, dopo l’allenamento di ieri ci ho pensato e mi sono detto che i più pirati sono i ragazzi che sono rimasti quest’anno a giocare qui. Rispetto all’anno scorso – un’annata emotivamente molto intensa, durante la quale la Lazio è stata data per spacciata cinque o sei volte, per arrivare poi a conquistare la salvezza allo spareggio [ndr] – sono andati via una quindicina di elementi, per vari motivi. Ecco, quelli che sono rimasti dopo aver fatto il miracolo, quelli che arrivano al campo contenti di allenarsi e di essere ancora qui, sono dei veri pirati.
E allora aggiungiamo una decina di nomi alla ciurma, ma io candido coach Montella come minimo a capo timoniere, perché se questa è una squadra di pirati, sicuramente il merito è anche suo, che un po’ filibustiere lo è.
Grazie Daniele per questa condivisione di vita, ancora tanti auguri e tanti saluti da parte di mia mamma.