Dopo la tappa australiana della scorsa settimana, ci spostiamo a visionare un’altra delle grandi corazzate dell’emisfero Sud. Due volte campioni del mondo, una storia ovale che si intreccia con la storia del Novecento e crea una delle pagine di sport, politica e morale più alte dell’umanità contemporanea. Chi non ha la lacrimuccia quando si rivedono le immagini di Mandela nella finale della Rugby World Cup del 1995, quando gli Springboks sconfissero l’apartheid prima e gli All Blacks dopo, per salire sull’olimpo degli dèi del rugby? Non hanno bisogno di altre parole per quanto riguarda il loro stupendo passato e, ovviamente, stiamo per presentarvi il
Gli Springboks sono gli anti-All Blacks. Non è vero? Qualcuno può obiettare sulla vittoria contro gli uomini di Hansen da parte dei folletti irlandesi lo scorso autunno. Altri che l’Inghilterra, sempre nei test match di fine 2018, ha sconfitto i sudafricani e quasi sconfitto i mostri neozelandesi con entrambe le partite finite con un divario di appena un punto. Altri che il Galles ha battuto nel Sei Nazioni entrambe le compagini europee e quindi si qualifica di diritto tra le favoritissime alla vittoria finale. Ma gli Springboks sono gli unici ad aver appena affrontato Read e compagni. Nel pareggio di Wellington appena due settimane fa. E non hanno fatto affatto una brutta figura. Se riusciranno inoltre nella vittoria con bonus contro i Pumas si aggiudicheranno il loro primo storico Rugby Championship. Già, perché la loro ultima vittoria nel torneo australe risale al 2009, quando ancora si chiamava Tri-Nations e gli argentini non ne facevano parte.
Gli Springboks sono gli anti-All Blacks. Pur lasciando stare le altre nazionali che possono ambire a tale titolo, si apre comunque un mondo di incognite. Immaginiamo per un istante che effettivamente nessuna delle altre sia al livello dei Kiwi se non i sudafricani. Le due nazionali si affronteranno già nella pool, la stessa di noi poveri italiani, che a conti fatti non sappiamo mica più tanto bene chi delle due sia la più facile da battere, e potrebbero, al di là del risultato del primo incontro, rivedersi in finale (Italia permettendo!). Ma il trend neozelandese è chiaro: sono mesi che lo staff dei tuttineri sta lavorando per uscire dall’empasse della rush defence, messo in opera prima dalle europee e poi da tutte le altre nelle ultime stagioni. Oh, non lo diciamo mica noi pirati. Lo dice uno che di rugby ne mastica: Munari. E se gli zoppicamenti di queste prime uscite del 2019 sono imputabili alla ricerca di un nuovo stile di gioco (vedi il doppio playmaker Mo’unga-Barrett) siamo pur certi che i meccanismi saranno ben oliati prima del fischio d’inizio del mondiale giapponese.
Quindi gli Springboks sono gli anti-All Blacks. Magari vinceranno il Championship nell’incontro dell’ultima giornata contro un’Argentina battagliera. Ma anche i Wallabies riuscirono a superare la Nuova Zelanda nel 2015, salvo poi dover sottostare allo strapotere dei campioni in carica nella RWC inglese. Che la storia sia destinata a ripetersi?
Quel che cambierebbe sarebbe solo il co-protagonista. L’attore non protagonista. Che sia la volta buona che il secondo posto sia degli Springboks? Perché, diciamocelo, qualcuno crede che gli All Blacks non vinceranno di nuovo la Webb Ellis Cup?