Eccoci al secondo appuntamento della rubrica Road to Japan dedicato alle formazioni che ce l’hanno quasi fatta. Questa volta al banco degli interrogati due piccole formazioni in crescita negli ultimi anni, che sono uscite entrambe bocciate dal torneo di ripescaggio marsigliese dello scorso novembre, che vide trionfare il Canada ai danni della Germania e delle altre due nazionali qui in esame: Kenya e Hong Kong.
Il Kenya è diventato senz’ombra di dubbio nel corso dell’ultimo decennio la seconda forza del Rugby Afrique dietro la Namibia, riuscendo in ben due occasioni, nel 2011 e nel 2013, ad aggiudicarsi il titolo di campione continentale. I Simbas, leoni in lingua swahili, non sono però mai riusciti a strappare il pass per la Rugby World Cup. L’edizione inglese del 2015 era a un passo dalla conquista quando, in seguito alla terribile sconfitta patita contro lo Zimbabwe, i giocatori keniani hanno visto le loro chances scivolare via tra le dita per un nonnulla. Percorso diverso ma stessa sorte pure per questa edizione che si disputerà nel paese del Sol Levante: la formazione allenata da Ian Snook, arrivata seconda nella Gold Cup africana dietro la Namibia, aveva comunque vinto la possibilità di partecipare al round robin con partite di sola andata per l’ultimo slot del torneo mondiale, il famoso repechage. Malgrado le dichiarazioni ottimistiche e la grande speranza alimentata dall’innesto nella formazione di alcuni elementi importati dal 7s, disciplina nella quale il Kenya spicca come una delle più importanti compagini a livello internazionale, il risultato finale è stato deludente, con ben tre sconfitte su tre incontri disputati. Canada, Hong Kong e Germania una dietro l’altra hanno fatto man bassa dei Simbas, usciti con zero punti dal torneo e con l’aggravante di aver sempre garantito il punto di bonus alle proprie avversarie.
Certamente il fascino di poter vedere ai mondiali due formazioni dal cuore dell’Africa era tanto. Una cosa del genere avrebbe avuto un impatto notevole sull’evoluzione e la progressione della disciplina ovale nel continente nero (a questo link godetevi la canzone e non soffermatevi sul lessico di un’Italia pre-globalizzazione, ndr). In più si avrebbe avuto il pepe del derby africano, grazie al fatto che il Kenya avrebbe idealmente raggiunta la Namibia nella pool B, dove ci sarebbero state anche le splendide vetrine delle partite con Springboks ed All Blacks. Certamente però la federazione keniana, che può vantare una nuova guida nel neo-eletto presidente Oduor Gangla, deve risollevarsi dalla cocente delusione e puntare tutto sull’edizione francese del 2023, per la quale potrà godere degli effetti di investimento derivati dalla ricca sponsorizzazione di SportPesa, avviata da fine 2016 e con ricaduta sulle giovanili e tutto l’indotto ovale del Paese.
Anche per la formazione dei Dragons si può intavolare un discorso relativo al raggiungimento eccellente della seconda piazza continentale. La formazione nata dalla piccolissima enclave britannica in Cina ha fatto enormi passi in avanti nel mondo ovale. Dall’essere uno sport praticato solo dai coloni e gentlemen anglofoni, che importarono il gioco di Webb Ellis fin dai primi del Novecento, con l’apertura della selezione a praticanti di origine cantonese la formazione asiatica si è dimostrata sempre più competitiva ed è riuscita a ritagliarsi con spavalderia e costanza la seconda posizione nell’Asia Rugby, alle spalle dei nettamente superiori giapponesi. E questo ancor di più da quando Hong Kong ha investito sullo sviluppo del 7s e, con l’ambizione ai lidi più accattivanti della Pacific Nations Cup da parte del Giappone, si è ritrovata come unica portavoce di un rugby di medio livello all’interno dell’Asian Rugby Championship, vinta nell’ultima edizione del 2018.
Proprio la vittoria nel massimo torneo asiatico, ai danni della Malesia e del Sud Corea, ha dato la possibilità, dopo la passeggiata ai danni della quarta forza del Pacifico, le isole Cook, di entrare nel torneo di ripescaggio per la RWC 2019. Purtroppo le speranze del ct Leigh Jones e dei suoi uomini si sono dovute scontrare contro le realtà della formazione canadese e di quella tedesca, nettamente più preparate e competitive della loro. Il sogno mondiale è svanito e purtroppo anche la curiosità di chi, come noi, avrebbe gradito vedere arrivare alla bagarre finale una così piccola e agguerrita formazione.