Siam come Bortolami

Se ancora non lo sapete da oggi due membri della nostra redazione sono qui. Sì, proprio lì. Nella patria del mondo ovale. Dove giocano gli dèi. Dove vivono. Dove si allenano e pesano le sorti del futuro del rugby. La Nuova Zelanda è un posto magnifico. Una terra affascinante e dalla quale noi abbiamo un sacco di cose da imparare. Noi di Rugby Pirates, ma anche noi italiani, appassionati, tifosi e addetti ai lavori del mondo azzurro del rugby. Non è un caso che anche i nostri uomini migliori, tecnici e giocatori, da un’esperienza neozelandese tornino arricchiti e rinvigoriti nelle proprie skills.

È per questo che abbiamo voluto sentire un beniamino del recente passato azzurro e oggi allenatore di grande efficacia: Marco Bortolami, ex seconda linea azzurra da 112 caps e attualmente a capo della touche del Benetton Treviso, che tanto sta facendo sognare quest’anno. Bortolami appena lo scorso anno è stato per due settimane ospite dei Crusaders e degli Hurricanes, dove ha affinato la propria competenza di gestione del gruppo e l’atteggiamento mentale e propositivo che dovrebbe avere sempre con i propri giocatori un coach, secondo lo stile dei guru kiwi.

Fabio Ongaro e Marco Bortolami

Ecco la nostra chiacchierata con lui, che abbiamo voluto prendere come punto di partenza per poter cominciare anche noi a scoprire questo stupendo legame fra la Nuova Zelanda, il rugby e, ovviamente, la pirateria. Soprattutto sull’ultima ci sentiamo abbastanza ferrati da poter insegnare anche noi qualcosa a loro.


Marco, grazie mille del tuo tempo. Potresti raccontarci com’è saltata fuori la possibilità di andare in Nuova Zelanda?
In Nuova Zelanda ho trascorso due settimane tra i Crusaders e gli Highlanders, più un corso allenatori organizzato dalla loro federazione. I miei contatti furono Scott Robertson, ex allenatore degli All Blacks under 20 che già conoscevo e l’head of performance di Gloucester quando giocavo in Inghilterra. Grazie a loro ho colto questa possibilità.
Qual è stata la cosa più importante che hai riportato a casa da questa esperienza?
Il metodo. Non ho visto dei superuomini o super-atleti, ma giocatori come ce ne possono essere in Italia o in Europa. Quello che fa la differenza è il metodo con cui ci si approccia ai lavori.
Quanto di quello che si fa là sei riuscito a riportare a Treviso e quanto si potrebbe ancora fare? Anche in chiave azzurra.
Quanto ho imparato là l’ho condiviso nello staff di Treviso, trovandomi subito in linea con Crowley, che è neozelandese. È un lavoro psicologico sulle convinzioni dei giocatori e sulla metodologia con cui si spiegano le cose: un lavoro continuo, costante da noi a Treviso. Spero che passi pian piano anche alla nazionale e spero che i nostri giocatori portino quanto apprendono anche in azzurro, anche se la cosa difficile è che per riuscire al meglio bisogna quotidianamente lavorare insieme secondo un metodo e una disciplina efficaci.
Tornerai in Nuova Zelanda?
Non questa estate, ma tornerò. Loro vanno avanti e bisogna sempre tenere il passo.
E per finire qualche battuta di spirito. Dicci un po’… chi è il più pirata della mischia che alleni?
Per quanto fa vedere in campo e per la sua fisicità che è unica a Treviso Irné Herbst. Potrebbe benissimo stare su una nave durante un arrembaggio, aggiungiamo noi.
E il pirata dell’Italia del 2007? L’Italia per cui ancora battono i nostri cuori…
Sicuramente il mio compagno di seconda linea Santiago Dellapè.


E noi… noi speriamo di poter tornare arricchiti in Italia come lui. Siam come Bortolami: siamo partiti zaino in spalla per un’avventura. Che gli dèi ce la mandino buona. E a Marco un grosso in bocca al lupo per questo fine di stagione. Che sia lunghissimo… Oh, incrociamo le dita, ma se poi va male non dateci dei gufi, eh!

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