Se ancora non lo sapete da oggi due membri della nostra redazione sono qui. Sì, proprio lì. Nella patria del mondo ovale. Dove giocano gli dèi. Dove vivono. Dove si allenano e pesano le sorti del futuro del rugby. La Nuova Zelanda è un posto magnifico. Una terra affascinante e dalla quale noi abbiamo un sacco di cose da imparare. Noi di Rugby Pirates, ma anche noi italiani, appassionati, tifosi e addetti ai lavori del mondo azzurro del rugby. Non è un caso che anche i nostri uomini migliori, tecnici e giocatori, da un’esperienza neozelandese tornino arricchiti e rinvigoriti nelle proprie skills.
È per questo che abbiamo voluto sentire un beniamino del recente passato azzurro e oggi allenatore di grande efficacia: Marco Bortolami, ex seconda linea azzurra da 112 caps e attualmente a capo della touche del Benetton Treviso, che tanto sta facendo sognare quest’anno. Bortolami appena lo scorso anno è stato per due settimane ospite dei Crusaders e degli Hurricanes, dove ha affinato la propria competenza di gestione del gruppo e l’atteggiamento mentale e propositivo che dovrebbe avere sempre con i propri giocatori un coach, secondo lo stile dei guru kiwi.
Ecco la nostra chiacchierata con lui, che abbiamo voluto prendere come punto di partenza per poter cominciare anche noi a scoprire questo stupendo legame fra la Nuova Zelanda, il rugby e, ovviamente, la pirateria. Soprattutto sull’ultima ci sentiamo abbastanza ferrati da poter insegnare anche noi qualcosa a loro.
Marco, grazie mille del tuo tempo. Potresti raccontarci com’è saltata fuori la possibilità di andare in Nuova Zelanda?
In Nuova Zelanda ho trascorso due settimane tra i Crusaders e gli Highlanders, più un corso allenatori organizzato dalla loro federazione. I miei contatti furono Scott Robertson, ex allenatore degli All Blacks under 20 che già conoscevo e l’head of performance di Gloucester quando giocavo in Inghilterra. Grazie a loro ho colto questa possibilità.
Qual è stata la cosa più importante che hai riportato a casa da questa esperienza?
Il metodo. Non ho visto dei superuomini o super-atleti, ma giocatori come ce ne possono essere in Italia o in Europa. Quello che fa la differenza è il metodo con cui ci si approccia ai lavori.
Quanto di quello che si fa là sei riuscito a riportare a Treviso e quanto si potrebbe ancora fare? Anche in chiave azzurra.
Quanto ho imparato là l’ho condiviso nello staff di Treviso, trovandomi subito in linea con Crowley, che è neozelandese. È un lavoro psicologico sulle convinzioni dei giocatori e sulla metodologia con cui si spiegano le cose: un lavoro continuo, costante da noi a Treviso. Spero che passi pian piano anche alla nazionale e spero che i nostri giocatori portino quanto apprendono anche in azzurro, anche se la cosa difficile è che per riuscire al meglio bisogna quotidianamente lavorare insieme secondo un metodo e una disciplina efficaci.
Tornerai in Nuova Zelanda?
Non questa estate, ma tornerò. Loro vanno avanti e bisogna sempre tenere il passo.
E per finire qualche battuta di spirito. Dicci un po’… chi è il più pirata della mischia che alleni?
Per quanto fa vedere in campo e per la sua fisicità che è unica a Treviso Irné Herbst. Potrebbe benissimo stare su una nave durante un arrembaggio, aggiungiamo noi.
E il pirata dell’Italia del 2007? L’Italia per cui ancora battono i nostri cuori…
Sicuramente il mio compagno di seconda linea Santiago Dellapè.
E noi… noi speriamo di poter tornare arricchiti in Italia come lui. Siam come Bortolami: siamo partiti zaino in spalla per un’avventura. Che gli dèi ce la mandino buona. E a Marco un grosso in bocca al lupo per questo fine di stagione. Che sia lunghissimo… Oh, incrociamo le dita, ma se poi va male non dateci dei gufi, eh!