Io protesto

Grafica Marco Stroscia

C’è un’Italia sportiva che soffre ormai da molti anni. Che ad ogni inizio stagione si ciba famelica di speranze e sogni di gloria e si prepara alla vittoria, una popolazione sportiva che segue in maniera quasi masochista la propria passione. Il popolo della Rossa di Maranello. Il quale vede puntualmente quei sogni e quelle speranze spiaccicate miseramente sulla visiera del casco dei piloti alla stregua di un qualunque animalino volante.

Poi c’è un’altra Italia sportiva, anch’essa destinata alle più sadiche sofferenze. Sempre in ambito motori e sempre di rosso vestita. L’Italia motorizzata Ducati. Anche qui i patimenti non vengono risparmiati.

Poi ci sono io che seguo la Formula Uno, amo le moto e ho una passione irrefrenabile per la palla ovale. E se per le prime due posso quantomeno lamentarmi ed imprecare (sono di Firenze l’imprecazione è un tratto genetico), per la terza, ahimè, non posso neanche dire un Maremma rugbista.

Sì, perché, diciamola tutta, nel rugby puoi e devi solo tifare. Ma non azzardarti a muovere una critica che vieni subito bannato con un secco “E allora segui il calcio.” Quando va tutto bene. Ma qui non va niente bene. E anche noi che guardiamo e soffriamo, seguiamo e bestemmiamo e poi beviamo, non aiutiamo col nostro silenzio assenso. Più imbarazzante della Nazionale c’è solo la pubblicità degli assorbenti Nuvenia. Possiamo dire che siamo arrivati al punto più basso della storia rugbistica? Lo dobbiamo dire. È nostro dovere pretendere di meglio. E sì, possono parlare anche coloro che non hanno mai giocato a rugby, ma che hanno sempre seguito questo sport. E sì, le ragazze sono più brave e meritano più attenzione e più visibilità. E sì Caressa ha ragione. Questo non è più uno sport ma una filosofia, soltanto che la filosofia non ti porta in meta e non ti fa vincere e se non vinci non cresci e se non cresci muori.

Abbiamo preso 50 pappine dall’Irlanda e sabato c’è l’Inghilterra; l’Inghilterra! Quelli che il rugby lo hanno inventato. E non si può neanche provare ad alitare una contestazione mentre ci avviamo prendere l’ennesimo cucchiaio di legno oltre che a raccattare un’altra, impietosa, palancata di punti? No via. Siamo seri. Sdoganiamo un po’ di luoghi comuni, lo sport di nicchia, lo sport per gentiluomini. No il rugby è uno sport che produce fatturato e muove business e come tale va trattato. Rispetto, sostegno, l’avanzare insieme vanno bene ma non si può pensare di contenere uno sport che ha una vita mondiale. Rompiamo quella maledetta nicchia che non protegge ma limita e smettiamo di farci condizionare dal nulla, persi dietro ad ogni tipo di contenimento tranne l’unico di cui s’avverte reale urgenza, come dice il bravissimo Mario Donnini: il contenimento del diametro dei coglioni degli appassionati, sempre più gonfi di fronte a uno spettacolo che si ripete demenzialmente salmodiante per quanto riguarda vincitori e vinti ogni anno, da dieci stagioni a questa parte, e senza alcuna garanzia che smetta di farlo.

Ed a proposito di lavoro, meglio che torni a bilancio di fine anno, che lì posso invocare anche Odino.

‘Oggi non lavoro, oggi non mi vesto, resto nudo e manifesto. Sono fuori dal coro, nettamente diverso le mode se ne vanno, io resto! E manifesto! contro! Ogni occasione è persa, i calci dalla piazzola, sulla traversa.’ [Bandabadó]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *